giovedì 12 luglio 2007

raddoppiare lo stipendio agli insegnanti

Pietro Citati, in un articolo su Repubblica di alcuni giorni fa, ha provocatoriamente affermato che si dovrebbe raddoppiare lo stipendio degli insegnanti che costituiscono ormai un vero e proprio sottoproletariato. La cosa ha suscitato molti commenti, come era prevedibile: chi si è dichiarato d’accordo, chi ha avanzato molti distinguo (lavorare più di 18 ore settimanali), chi vorrebbe ridurre drasticamente il numero dei professori alla metà.

Marco Lodoli, in un breve articolo di Repubblica, propenderebbe per forme di gratuità a teatro, al cinema, in libreria, in tal modo l’insegnante potrebbe alimentarsi intellettualmente senza decurtare il già striminzito compenso economico.

L’onorevole Fini avrebbe detto che « i nostri figli sono in mano ad un manipolo di frustrati che incitano all’eversione» (Corriere della sera, 11 luglio, pag. 13).

Lunedì mattina a Radiotre M. Bastico, sottosegretario del ministro Fioroni, ha sostenuto tra l’altro che c’è la volontà del ministero di introdurre differenze stipendiali fra gli insegnanti, dando riconoscimenti a chi si impegna di più. E ha fatto l’esempio di chi guida il dipartimento di insegnamenti linguistici e avanza proposte didattiche che arricchiscono il piano dell’offerta formativa di una scuola. Il senso dell’intero discorso era, così mi è sembrato, quello di “premiare” chi lavora di più ed è più visibile a scuola. Un criterio, quindi, quantitativo soprattutto. Nessun cenno al sommerso né alla qualità.
Ora, facciamo finta di credere che saremo chiamati a dare indicazioni su cose che ci riguardano da vicino ma toccano, al tempo stesso, tutta la società: quali criteri suggeriremmo? Pensiamo che basti stare più tempo a scuola per essere (o apparire?) insegnanti più preparati? Se potessimo fare a scuola buona parte del lavoro che facciamo a casa, saremmo quantitativamente più “rilevanti”. Ma un criterio basato sulla quantità va bene automaticamente anche per la qualità ? E in che cosa consiste poi la qualità del lavoro di un insegnante?



mariateresa

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Cara Maria Teresa,
innanzi tutto desidero ringraziarti per aver aperto una discussione così stimolante.
Personalmente credo che i nostri stipendi siano vergognosamente bassi, soprattutto per un paese 'avanzato', in cui i governanti (indipendentemente dal colore politico) ripetono sempre che bisogna investire in ricerca e innovazione.
L'idea degli stipendi differenziati sulla base dell'impegno non mi piace per niente(come si valuta l'impegno di un insegnante?). Né quella della 'tessera di povertà' per andare al cinema o a teatro. Sarebbe opportuno, forse, darci la possibilità di detrarre dalla dichiarazione dei redditi le spese per l'acquisto di computer, di libri (purché non siano quelli dei propri figli o parenti), di abbonamenti a Internet, a riviste, ecc.
Un primo criterio di 'differenziazione' potrebbe essere basato sul titolo di studio: in qualsiasi ente pubblico, tranne la scuola, un laureato che svolge un lavoro per il quale è richiesta la laurea è inquadrato a un livello superiore rispetto a un diplomato (non me ne vogliano i colleghi).
Un altro potrebbe scaturire da una seria organizzazione della carriera degli insegnanti, legata non solo all'anzianità, ma a titoli didattici e scientifici(voglio dire, non titoli del tipo "essere stato membro del Consiglio d'Istituto o della Giunta esecutiva", o "aver coordinato un dipartimento disciplinare") e, magari, a una sorta di concorso.
Di certo non basta stare più tempo a scuola per essere insegnanti più preparati.

ciaoicrem ha detto...

Si può fare. Come?
leggete qui.

http://ilm​iolibro.ka​taweb.it/l​ibro.asp?i​d=131801